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GIARDINI IN MOVIMENTO

"un nuovo patto tra uomo e natura"

Gilles_Clement

UN NUOVO MODO DI PENSARE IL GIARDINO

Coesistere con la natura, invece di dominarla: è questa l’intuizione rivoluzionaria del paesaggista francese Gilles Clément, autore del libro Il giardino in movimento (1991).

Studiando spazi incolti come i bordi stradali, le aree industriali dismesse e i terreni abbandonati, Clément ha dato voce a quella che definisce la biodiversità spontanea, racchiusa in ciò che chiama “Terzo paesaggio”.
Il giardino, in questa visione, non è più un luogo da ordinare o controllare, ma uno spazio vivo, dove l’uomo lascia che la natura esprima la sua vitalità.

È un cambio di paradigma che ridefinisce anche il concetto di estetica: non più solo ordine e simmetria, ma varietà, trasformazione e sorpresa.
Questa prospettiva invita a ripensare la progettazione del verde come gesto di ascolto e dialogo, e non come imposizione.
Un approccio che apre la strada a nuove forme di bellezza, più libere, dinamiche e inclusive.

CUSTODE DELL' IMPREVEDIBILE

Nel giardino in movimento, il giardiniere non impone un ordine prestabilito, ma osserva, accompagna e collabora con la natura. I semi arrivano trasportati dal vento, le piante si insediano spontaneamente, e il paesaggio evolve in base al clima, alle stagioni e alle dinamiche ecologiche.

In questo contesto, il giardiniere assume un ruolo nuovo: diventa un "guardiano dell’imprevedibile", capace di leggere i segnali del territorio e sostenere la biodiversità senza controllarla rigidamente.

Questo approccio produce spazi verdi resilienti, economici e sostenibili, capaci di autoregolarsi e adattarsi.

Un esempio significativo è il Natur-Park Schöneberger Südgelände di Berlino, nato su un'ex area ferroviaria: un parco urbano in cui vegetazione spontanea, strutture industriali e arte contemporanea convivono in armonia.

Qui, l’intervento umano non scompare, ma si trasforma in una presenza discreta, rispettosa, integrata.

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PROGETTI IN ITALIA
E SFIDE APERTE

Anche in Italia il concetto di giardino in movimento ha iniziato a ispirare pratiche di rigenerazione urbana. Un esempio virtuoso è Parco Dora a Torino, nato nella vasta area industriale un tempo occupata da Fiat e Michelin: un luogo in cui archeologia industriale e vegetazione spontanea convivono, dando vita a un paesaggio affascinante, accessibile e vivo.

È la prova che anche spazi segnati dal passato produttivo possono trasformarsi in ecosistemi urbani sostenibili.

Tuttavia, replicare questi modelli nel nostro Paese richiede attenzione a una sfida cruciale: la contaminazione del suolo.

Le normative italiane, più restrittive rispetto ad altri Paesi europei, impongono obblighi di bonifica nei siti inquinati prima di qualsiasi intervento pubblico. In ex scali ferroviari o zone industriali, spesso si rilevano sostanze che rendono obbligatoria la messa in sicurezza. Esistono soluzioni naturali, come l’uso di piante capaci di migliorare la qualità del terreno (fitodepurazione), ma ogni caso va valutato singolarmente.
Per affrontare il problema in modo sistemico, sarebbe auspicabile una direttiva europea unificata sulla tutela del suolo, che riconosca il valore ecologico e sociale di questi spazi liminali.

UN INVITO
A RIFLETTERE

Nel 2014, a Clacton-on-Sea, in Inghilterra, Banksy realizza un murales potente: cinque piccioni manifestano contro un piccolo uccello esotico. I cartelli recitano frasi come “Tornatene in Africa”, “I migranti non sono i benvenuti”, “Stai lontano dai nostri vermi”. Un’opera ironica e amara, che mostra quanto l’intolleranza possa annidarsi anche tra simili, e quanto il rifiuto della diversità sia frutto di ignoranza e paura.

In questo contesto, l’arte — come il giardino in movimento — diventa strumento per riflettere su convivenza, mescolanza e accoglienza. Se il paesaggio naturale trae forza dalla biodiversità e dalla coesistenza tra specie differenti, anche la società umana ha bisogno di spazi aperti al cambiamento, al dialogo, all’imprevisto.

Abbiamo visto come si possa progettare un paesaggio senza dominarlo, accettando ciò che nasce spontaneamente. Possiamo fare lo stesso anche tra esseri umani?
La protezione dell’ambiente e l’inclusione sociale non sono battaglie separate: entrambe parlano di relazioni, di scelte etiche, di futuro condiviso.

Con questo murales, vogliamo lasciarvi con una domanda semplice ma urgente:
si può trovare spazio per l’accoglienza?
A voi la risposta.

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